Napoleone in bicicletta. La presentazione del libro
Ricercato per le sue idee socialiste, un contadino di nome Napoleone, nel 1936, acquista una bicicletta, impara ad usarla e, in venti ore di pedalata ininterrotta seguendo la direzione del sole e altre vaghe indicazioni, da Stanghella, nella Bassa Padovana, raggiunge il Piemonte. Qui termina la sua avventura in bicicletta e comincia una nuova vita di bracciate, prima a Lu Monferrato, poi a Conzano, infine a Castelletto Merli, dove verrà raggiunto dalla sua famiglia, attraverso un altrettanto avventuroso viaggio in treno.
Questa la trama di “Napoleone in bicicletta”, l'ultimo libro di Franco Testore, il primo firmato senza pseudonimi, che sabato 26 ottobre è stato presentato nell'aula magna dell’istituto Balbo. All'evento, aperto anche ad un pubblico esterno, hanno partecipato le classi 3A Scienze Umane e 2A Classico.
«Questa è una storia vera» ha esordito l'autore, dialogando con il giornalista Andrea Mombello. È la storia del nonno di sua moglie, spesso ricordato nelle riunioni di famiglia, ma che lui non aveva mai conosciuto. La curiosità verso questa figura, umile ed eroica al tempo stesso, lo spinge a compiere ricerche, tra gli uffici anagrafe del Monferrato e del Veneto, per tappare i buchi e trovare gli anelli mancanti di quella storia che conosce solo a tratti. Può suonare strano il nome Napoleone, ma era molto diffuso in Veneto, come omaggio sia a Napoleone Bonaparte, che in pochi anni di permanenza in Italia ha cambiato l'assetto sociale e, in particolare, ha trasformato i contadini da schiavi a braccianti liberi, sia a Napoleone III che ha annesso quella regione.
Stimato oncologo, Testore ha scoperto la propria vocazione alla scrittura proprio grazie alla sua professione di medico: «Ascoltando i miei pazienti ho scoperto che, dietro tanti volti anonimi e apparentementi insignificanti, ci sono storie che aspettano di essere raccontate.»
Ed è proprio questo il motivo che l'ha spinto a scrivere questo romanzo: non una celebrazione della propria famiglia, ma l'intenzione di dar voce agli umili, a quelle persone di cui la grande Storia non parla mai. Il mondo contadino, in particolare, secondo lui merita di essere raccontato e ricordato «senza idealizzazioni, perché non è vero che “si stava meglio quando si stava peggio", ma perché era animato da valori diversi, da un diverso modo di stare insieme, da una umanità che oggi si sta perdendo.»
Una umanità che si manifesta, ad esempio, nella rete di solidarietà tra i compaesani di Napoleone, che lo aiutano a fuggire. O nell'accoglienza ricevuta da Napoleone al suo primo risveglio su una panchina di Pozzolo Formigaro, da un uomo - sorpresa, anche lui parlante il dialetto veneto! - che lo aiuta a trovare casa e lavoro in Piemonte. O nella concezione della famiglia: «I rapporti erano più di sottomissione rispetto ad oggi, ma meno problematici. Anche nelle difficoltà e nella separazione, il nucleo familiare rimane coeso.» Significativo è il personaggio di Mena, la moglie, vero perno della famiglia, soprattutto in assenza marito: non sa dove la porterà il viaggio, quante case dovrà cambiare, ma ovunque porta con sé i suoi bulbi, come segno del legame con la terra d’origine, e sempre troverà un giardino per piantarli.
Significativa è anche la storia dei figli, che finiranno, da adulti, per ereditare gli stessi ideali del padre, le stesse speranze in un mondo migliore. Anche loro, come Napoleone, sognano un mondo senza guerra. Purtroppo alla guerra dovranno partecipare entrambi, il primo inviato dal Regime nell’occupazione della Jugoslavia, il secondo arruolandosi come partigiano; ma entrambi, anche nelle situazioni più drammatiche, manterranno fede al proposito di non uccidere nessuno. La loro storia, dunque, è per i lettori un messaggio di pace.
E sulle migrazioni, altro tema forte del romanzo, qual è il pensiero dell'autore? «È normale per una persona voglia migliorare le proprie condizioni di vita, soprattutto se nel proprio Paese le condizioni sono tragiche. E il mondo è un posto abbastanza grande per ospitare tutti e per permettere a tutti di spostarsi. Non dobbiamo avere paura delle diversità: sono una ricchezza!»
Quello di Franco Testore è dunque un libro che promette di parlare a chiunque, sia ad un pubblico adulto che ai giovani, come dimostrano le domande, che al termine dell'incontro sono state sollevate proprio da alcuni alunni del Balbo.